LEGGE 300/70 - ART. 18. - Reintegrazione nel posto di lavoro.
"Ferma restando l'esperibilità delle procedure previste dall'art. 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice, con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'art. 2 della legge predetta o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro.
Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno subito per il licenziamento di cui sia stata accertata la inefficacia o l'invalidità a norma del comma precedente. In ogni caso, la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione, determinata secondo i criteri di cui all'art. 2121 del codice civile. Il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al comma precedente è tenuto inoltre a corrispondere al lavoratore le retribuzioni dovutegli in virtù del rapporto di lavoro dalla data della sentenza stessa fino a quella della reintegrazione. Se il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro non abbia ripreso servizio, il rapporto si intende risolto.
La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'art. 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.
L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'art. 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile.
L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'art. 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all'ordinanza di cui al quarto comma, non impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore."
Tutto qui. Mi piacerebbe sapere quante dell persone che si riempiono la bocca, pontificano, giudicano l'opportunita' o meno di abrogare il famoso articolo 18, l'hanno in realtà mai letto. A chi parla della abrogazione dell'art.18 come funzionale alla occupazione, io rispondo serenemente, che questo si chiami Sacconi o Berlusconi, Marcegaglia o Monti , che faccia il politico o il sindacalista, il teorico o il giornalista che o è un perfetto ignorante o è in cattiva fede. In entrambi i casi dovrebbe cambiare mestiere per il bene di tutti.
L'articolo 18 parla esplicitamente di provvedimenti che vanno presi nei casi di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo. Se il licenziamento è adeguatamente motivato , non ha senso parlar di articolo 18.
E' chiaro quindi che una discussione seria sul rinnovamento del mercato del lavoro dovrebbe discutere se mai sul concetto di giusta causa o giustificato motivo, dovrebbe discutere sulle cause che possono giustificare il licenziamento di un lavoratore. Cause che già oggi comprendono , nonostante le cretinate dette da molti giornalisti per piaggeria al regime, motivazioni legate alla crisi , alla mancanza di lavoro eccetera. E che comunque non sono contenute nell'art.18
L'abrogazione dell'art.18 viene contrabbandata come opportunità per aumentare la occupazione giovanile: perchè? Perchè privare i lavoratori di ogni minima tutela dovrebbe aumentare le assunzioni? Specie al giorno d'oggi nel quale la massimizzazione del profitto spinge tutti i datori di lavoro a stringere sul personale anche quando questo non è giustificato dalla reali necessità produttive?
La abrogazione dell'art.18 in realtà sarebbe funzionale alla distruzione totale dei diritti dei lavoratori, propedeutica ad un peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori dipendenti, che permetterebbe ovviamente maggiorni margini di profitto ai datori di lavoro. Servirebbe ad avvicinare le condizioni di lavoro dei lavoratori italiani a quella dei lavoratori cinesi
Il perchè è intuibile: con la abrogazione di questa norma, il datore di lavoro potrebbe licenziare a suo piacimento e diverremmo tutti precari. Ovviamente i primi ad essere licenziati sarebbero i sindacalisti ed in genere tutti i lavoratori che pretendono il rispetto dei propri diritti, il pagamento degli straordinari , il rispetto delle norme di sicurezza. A chi obbietta che questo quadro appare catastrofico, vorrei porgere l'invito a considerare se le condizioni di lavoro in generale negli ultimi otto - dieci anni (anche a seguito dell'avvento della Legge Biagi) sono migliorate o peggiorate. E non sarebbe necessario licenziarne molti, perchè appena cadute le prime teste , tutti gli altri si adeguerebbero in fretta.
Potrebbe essere la fine del diritto sindacale. A chi, come sempre in maniera strumentale e demagocica, porta l'esempio degli altri paesi Europei, vorrei fare presente che quali che siano le Leggi negli altri Paesi Europei, il rispetto dei diritti dei lavoratori è dato anche dalla cultura di quel specifico paese, e talvolta in alcuni Paesi le Leggi per certe tutele neanche servono.
Per tacere di chi porta ad esempio gli Stati Uniti, dove il valore della vita umana è rimasto quello dei tempi del far west. .
L'Europa è il luogo dal quale sono arrivate le Leggi sulla sicurezza nei posti di lavori, le Leggi sulla prevenzione dello Stress lavoro correlato, le Leggi sulla responsabilità Sociale di Impresa, tutte norme che in Italia si fa tanto fatica ad applicare o non si applicano affatto, a forza di rinvii o creando norme fasulle, che non prevedono sanzioni in caso di inadempimento. L'Italia è il Paese ove il buon senso non esiste, ove il diritto alla vita deve essere normato per legge e già cosi' si fa fatica a vederlo rispettato
Non a caso l'Italia è il Paese con il maggior numero di morti sul lavoro d'Europa, oltre mille ogni anno. A chi è addetto ai lavori, appare chiaro senza ombra di dubbio che la sicurezza sul lavoro passa obbligatoriamenteattravero il rispetto dei diritti dei lavoratori.
Allora chi vuole la abrogazione dell'art.18? E' chiaro che , lungi dall'essere una operazione di modernizzazione , essa rappresenterebbe un ritorno al passato nel peggiore senso del termine,. E che quindi la abrogazione di questo articolo di Legge puo' essere voluta solo da "padroni delle ferriere" in pectore, da persone il cui unico scopo è il lucro delle proprie imprese sulla pelle dei lavoratori, appoggiati a politici corrotti o incapaci.
L'Italia peggiore.
Appunto..
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